22 febbraio 2014

Il governo renzie

Tanto tuonò che piovve.
Doveva essere un esecutivo nuovo, quasi rivoluzionario in termini di competenza e capacità.
Ci ritroviamo con il governo più democristiano degli ultimi 20 anni, nelle modalità di formazione e nella sostanza dei componenti.
Il neo primo ministro è in totale balia della propria ambizione, a riprova che un ego smisurato e cresciuto senza dovuti contrappesi (di relazioni affettive, familiari, sociali) brucia il cervello più della cocaina e dell'LSD.
Porta con sè al governo quasi tutto il suo "cerchio magico", in cui spicca in tutta la sua insipienza una avvocatina sbarbina, che da mesi occupa tutti gli spazi televisivi possibili, ma assolutamente inidonea a ricoprire financo la carica di amministratore di condominio, altro che "ministro della Repubblica"...
Riscopre l'eterna promessa piddina lanciata (e bruciata) da Veltroni (lo ricordate? è da lui che è partita la rovina della sinistra italiana). La Madia ce la ricordiamo solo perchè era "ggiovane"; ora lo è di meno ma fa sempre "figo", perchè il suo nome è indissolubilmente legato a quel giovanilismo idiota che ispira ogni singola azione del nostro.
Mantiene i tre ministri del nuovo centro destra, pochi mesi dopo aver affermato perentoriamente che fosse stato per lui avrebbe sfiduciato senza esitazione Alfano, dopo lo "scandalo shalabayeva".
Si assicura il favore di due delle più grandi (e pericolose) lobby interne: la confindustria con la presenza di una "imprenditrice" maestra nel delocalizzare le proprie fabbriche in Croazia e in altri paesi con costo del lavoro da terzo mondo (che altro grande fulgido esempio di novità!), nonchè da tempo nell'orbita berlusconiana; e la lega delle cooperative, il cui unico scopo "sociale" ormai è quello di ottenere quanti più appalti possibili delle grandi opere che, siamo sicuri, affiancheranno l'orribile mostro dell'Alta Velocità (in cui la stessa lega delle cooperative è in pole position).
Recupera un paio di giuda: il più grande camaleonte rimasto nel PD, chiamato ora a dare il colpo di grazia ai Beni Culturali, e una poveretta che ancora non ha capito che è ministro solo perchè il suo "sacrificio" deve servire a depotenziare la concorrenza interna di Civati.
Cencelli, al cospetto di Renzi, era un dilettante...
Il governo Letta aveva forse solo un paio di personalità di grande profilo e competenza: il ministro Bray e Emma Bonino. Nemmeno prese in considerazione, ovviamente.
L'odore di "rimpasto alla vecchia maniera" si sente lontano un miglio.
E allora perchè questa avventura? Perchè accoltellare alle spalle Letta?
Non mi meraviglierebbe se l'arrampicatore della politica italiana l'avesse fatto anche solo per il record del più giovane primo ministro della storia della Repubblica: è degno di questo.
Più probabile che l'ultimo (speriamo) segretario del PD sia la marionetta (più o meno consapevole) del grande manipolatore delle vicende italiche dell'ultimo ventennio.
Quell'"utile idiota", quella testa di legno che il fu cavaliere ora pregiudicato sta cercando disperatamente, per poter sopravvivere ancora qualche anno: ai servizi sociali o ai domiciliari.

01 febbraio 2014

Le banche di Letta, il vuoto della politica

Non credo ci si possa realmente meravigliare che un governo "Letta" operi in favore dei "poteri forti", delle banche e della finanza soprattutto, o che la sua attività sia più concentrata e impegnata a smantellare pezzi di Stato (in particolar modo quelli più "appetibili") piuttosto che a mettere al centro della propria attenzione i temi del lavoro e della diseguaglianza sociale.
Letta (nipote, ma lo zio è della stessa pessima pasta) è cresciuto tra Bilderberg, Trilaterale, Goldman Sachs e Aspen Institute; si è formato alla scuola di Beniamino Andreatta, il più liberista tra i democristiani e appassionato di "svendite di Stato".
La sua faccia pulita può trarre in inganno solo i più ingenui, in realtà è un animale politico con tanto tanto pelo sullo stomaco, e il decreto Bankitalia sta lì a testimoniarlo: nel pieno della più grande crisi sociale ed economica del dopoguerra, un fiume di denaro viene regalato agli operatori che hanno in realtà causato la crisi, le Banche, senza alcuna attenzione per il mondo del lavoro e di quanti di questa crisi sono vittime.
Ma Letta non è lì per volere dello spirito santo.
Lo ha voluto/imposto Napolitano, ma è sostenuto dalle maggiori forze politiche rappresentate in parlamento.
Sia l'opposizione di Berlusconi che il finto appoggio critico di Renzi sono infatti due parti perfettamente integrate nella commedia che sta andando in scena da diversi mesi a questa parte. E l'accordo sulla pessima legge elettorale ne è la riprova.
Ad entrambi, in realtà, conviene che il lavoro sporco sia fatto da Letta; ad entrambi conviene non doversi realmente confrontare con i gravi problemi del nostro Paese. Ad entrambi le scelte del governo amico delle banche vanno più che bene, nonostante le critiche di facciata.
A completare il desolante quadro della politica italiana, la totale incapacità dei grillini di elaborare progetti che non siano di diretta promanazione della mente (non sempre molto lucida) del vero capo della loro setta: quel Casaleggio che ogni giorno di più appare come una nuova mamma Ebe. Così accade che anche alcune battaglie sacrosante perdono ogni valenza e ogni significato, sacrificate come sono alla "strategia" del momento del capellone.
Il risultato finale è che: del decreto Bankitalia non si parla nel merito, nessuno pronuncia una parola che sia una sullo scandalo degli F-35, nessuno ritiene di doversi occupare della scuola che va a rotoli, del territorio che si sfalda alla prima pioggerella, delle innumerevoli attività artigianali e di piccola impresa che muoiono (e con loro tanti saperi e tante conoscenze), delle giovani generazioni sempre più alienate dalla realtà che le circonda.
Berlusconi, Letta, Renzi, Grillo... Sembrano tante iene pronte a cibarsi delle carcasse degli Italiani.
Abbiamo bisogno di un'altra Politica. In Italia e in Europa.
Possiamo ripartire dall'appello per una "lista Tsipras", pubblicato su Il Manifesto e già in fase organizzativa.