18 luglio 2008
Stati di polizia - Genova e dintorni
"Stati" di polizia, quindi.
L'ultima perla di "trasparenza al contrario" nei rapporti tra Stato e cittadini è sicuramente il recente processo che vede imputati "pezzi" di Stato relativamente ai fatti del 2001 al G8 di Genova.
Proviamo a riassumere quanto accaduto.
In occasione del G8 a Genova nel 2001 il governo decide di blindare la città, cercando di impedire militarmente ogni forma di dissenso. La città viene comunque invasa dai manifestanti: quasi tutto il mondo del volontariato, i sindacati, i movimenti, tutto il variegato mondo (centinaia di migliaia di persone) che non riteneva (e non ritiene) giusto che a determinare i destini dell'umanità siano 8 (otto) signori manovrati dall'industria bellica e dalle multinazionali.
Poi ci sono un centinaio di "black blok" (o come diavolo si scrive...) che, tra una chiacchiera e l'altra con poliziotti e funzionari in borghese, devastano indisturbati una parte della città.
Per queste devastazioni i presunti colpevoli sono stati condannati a pene pesantissime. "Presunti", appunto. Perchè c'è da scommettere che tra i ragazzi condannati non ci siano molti "devastatori premeditati". Ci sono sicuramente molti che hanno reagito alle cariche che, improvvise quanto immotivate, piombano addosso ad alcune parti dei pacifici cortei.
Ordinate non si capisce da chi e soprattutto perchè, queste cariche (devastanti e studiate per scagliare la massima violenza possibile sugli ignari manifestanti) sono il vero evento scatenante della guerriglia che mette a soqquadro Genova.
Poi c'è il tragico evento, imprevedibile quanto sfortunato, dell'uccisione di Carlo Giuliani; per il quale evento, causato dal clima di guerra civile creato dalle cariche ingiustificate di cui sopra, nessuno ha pagato e nessuno pagherà mai.
Infine arrivano Bolzaneto e la scuola Diaz.
Tra le pagine più nere della nostra storia e definito dai media di tutto il mondo come uno dei punti più bassi del livello di civiltà (giuridica ma non solo) toccati dal nostro Paese.
I fatti di Bolzaneto e della Diaz sono orami ampiamente acclarati, documentati, conosciuti. Eppure sembra che per essi non ci possa essere "giustizia".
Come puntualmente evidenziato da Marco Revelli in uno suo recente intervento su "il Manifesto", ciò che sconcerta più di tutto è l'abissale distanza tra la quantità e la "qualità" dei fatti accertati e l'irrisoria entità delle pene propugnate dai giudici a parte dei responsabili di quelle mattanze; come se gli stessi giudici non avessero saputo o voluto trovare altri motivi di condanna laddove il diritto italiano è carente (vedi sotto la voce "tortura").
"Parte" dei responsabili di quella mattanza, dicevo. Perchè i responsabili più in alto di quel periodo sono stati nel frattempo tutti "promossi" ad incarichi più importanti. Uno dei massimi responsabili "politici" ce lo ritroviamo addirittura come terza carica dello Stato...
Altri misteri italici: da noi chi sbaglia viene promosso, e più è in alto più resta impunito. Esattamente il contrario di quanto accade in tutti gli (altri?) "Stati di diritto".
Del resto tutto questo non ci meraviglia più. E, cosa ancor più grave, ci indigna sempre meno. Ci interessa sempre meno.
Siamo lo Stato delle stragi irrisolte, degli armadi della vergogna, degli ex-presidenti della Repubblica che, pur essendo custodi di molte verità sugli eventi oscuri della nostra storia, trovano divertente divulgarle a piccoli pezzetti, a seconda della convenienza del momento.
E così veniamo a sapere (ora) che il DC9 di Ustica fu abbattuto da un missile francese. Eppure (lo ricordo benissimo nonostante fossi solo un ragazzo) quella del missile francese fu la PRIMA ipotesi avanzata, e immediatamente depistata...
E così veniamo a sapere che la CIA era molto interessata a non far tornare "vivo" Moro dal rapimento delle BR (ma non erano tutti "complottisti" coloro che lo sostenevano in tempi non sospetti?!?). La stessa CIA che scorrazza liberamente e impunemente per il nostro territorio sequestrando civili a destra e a manca.
Nel frattempo, giusto per non farci mancare nulla, se un militare USA di una base in Italia causa danni a civili (italiani) o trancia i fili di una funivia (italiana) provocando una strage non riusciamo comunque a processarlo, perchè non ne abbiamo l'autorità. Avete capito bene: non abbiamo l'autorità (non vogliamo "prenderci" l'autorità) per processare un militare USA quando commette reati sul nostro territorio (teoricamente sovrano). Non ne parliamo se il militare USA è in missione in Iraq ed ammazza uno dei nostri migliori "servitori dello Stato"...
Cosa ci resta allora?
Ci resta da decidere se vogliamo vivere in uno Stato di Diritto o in uno Stato di polizia.
E poi agire di conseguenza nelle nostre scelte di ogni giorno.
11 luglio 2008
La dignità del silenzio e la caciara del vaticano
Ha combattuto molti anni per veder riconosciuto alla figlia Eluana il diritto ad avere una vita così come lei la desiderava nella sua pienezza, intendendo per "vita" il suo intero svolgersi, compreso il momento della morte, epilogo naturale per ogni essere vivente.
Ora che finalmente anche la Giustizia (in questo Paese in perenne difetto di civiltà) sembra aver riconosciuto questo diritto a lei e al suo tutore-padre, Beppino (che non ha mai "sbandierato" la sua dolorosa esperienza solo per fare "rumore") ha più volte ribadito che, una volta ottenuto di poter rispettare la volontà della figlia, tornerà a vivere nel silenzio il suo dolore e ad elaborare nel privato il suo lutto (che dura oramai da diversi anni).
Nessuna grancassa mediatica, quindi, per quest'uomo che appare tanto mite quanto deciso e determinato.
A battere sui tamburi della propaganda con il massimo impegno, invece, ci ha ovviamente pensato il vaticano che, oltre a dedicare all'argomento tutti gli editoriali possibili ed immaginabili della stampa di proprietà (nella speranza forse di aumentare le copie vendute da Osservatore Romano e Avvenire, quotidiani che oramai non comprano più nemmeno i parroci...) ha sguinzagliato i soliti noti monsignori a rilasciare le consuete interviste pervase del consueto cinismo.
E così, mentre i (pochi) sacerdoti impegnati quotidianamente nel sociale arrivano a vedere nella sofferta decisione di un padre un esempio "alto" di fede, i vari monsignor Fisichella di turno pronunciano la magica parola che da anni impedisce al nostro Paese (poco) sovrano di promulgare una legge sul testamento biologico: eutanasia.
Aldilà del fatto che la elaborazione contemporanea ha trasformato in negativo un termine che nasce con il positivo significato di "buona morte" (non è argomento oggetto di questo intervento), è opportuno riportare qui una affermazione, che fotografa esattamente la situazione di Eluana:
”L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi, può essere legittima. Non si vuole così procurare la morte, si accetta di non poterla impedire”.
Queste parole non sono state scritte da un medico ateo o da un militante radicale. La frase di cui sopra è contenuta nel Catechismo della Chiesa Cattolica ed è stata scritta dal Card. Joseph Ratzinger.
C'è qualcosa che non torna, allora, nella caciara mediatica d'oltretevere, che va al di là del classico "predicare bene e razzolare male".
C'è una volontà di porsi come unico giudice del diritto di vita e di morte di un essere umano, che riporta alla mente i tempi in cui si mandava allegramente sul rogo chiunque osasse contestare questo presunto diritto.
C'è la affermazione, sempre mal repressa, di una presunta superiorità rispetto alle regole (che i Giudici sono chiamati a far rispettare) di uno Stato che è sempre meno sovrano e sempre più "reggitore di tonache".
C'è infine la diabolica necessità di essere sempre e comunque al centro della scena, ed in questo sono evidenti i motivi che vedono in grande sintonia Ratzinger e Berlusconi...
Tutto ciò accade nel totale disinteresse da una parte, e nella totale complicità dall'altra, della politica, sempre più incapace di dare risposte concrete alla crescente domanda di "civiltà" che sale dalla nostra società.
Ci salvano testimonianze come quelle di Beppino Englaro, che ci danno la speranza che una società altra è possibile, nonostante "questa" politica, nonostante "questa" chiesa. A queste ci aggrappiamo per vedere un barlume di luce in questo periodo storico molto molto oscuro.
06 luglio 2008
Siamo tutti Rom
L'Arci (tre le pochissime voci che si fanno sentire sull'argomento) promuove un'iniziativa per contrastare le «leggi razziste» del ministro Roberto Maroni e la sua proposta di «schedare» i bambini che vivono nei campi mediante l'obbligo di prendere loro le impronte.
«Prendetevi le nostre impronte, non toccate i bambini e le bambine rom e sinti»: questo in sintesi il messaggio che l'Arci vuole gridare all'Italia intera.
Molte le adesioni, sia di associazioni e movimenti (Aned, Antigone, Cantieri Sociali, settori del movimento lgbt) che di artisti e personaggi della cultura, da Andrea Camilleri a Moni Ovadia a Dacia Maraini, Ascanio Celestini e numerosi altri.
Un po' meno (sinora) le adesioni della politica militante e comunque troppo poco "rumorose". Questa lodevole iniziativa andrebbe "coltivata" con tutte le energie possibili da parte di quella area che viene solitamente definita "ex arcobaleno" e che, invece, in questi giorni sembra tutta troppo presa a dirimere (con molto poco senso del futuro e della decenza) i propri affari interni.
Eppure è questo il momento di dare un segnale forte di contrasto alle politiche discriminatorie, persecutorie e razziste di Maroni e della maggioranza che lo sostiene.
E non è di gran sollievo leggere che comunque i Prefetti interessati sembrano organizzarsi con altre modalità per le schedature: sempre di schedature si tratta, in violazione dei più basilari diritti umani che vietano la discriminazione delle persone in base alla loro razza, etnia o religione.
«O tutti o nessuno» sarà uno dei motti che animerà la mobilitazione di lunedì a Roma, che dovrebbe essere solo una tappa di tutta una serie di iniziative che si ripeteranno (si spera) a Milano, Firenze, Genova, Reggio Emilia e altre città.
Stiamo tornando nei tempi bui delle leggi razziali. La Sinistra che non c'è cerca con grande tormento (almeno a parole) quei valori di base che dovrebbero costituire l'ossatura del suo "comune fare", unitario e a partire dalla propria identità sociale. Questa è una occasione che la Sinistra non può lasciarsi sfuggire, per ripartire dal senso del proprio agire politico lasciando da parte biechi litigi su tessere, congressi e delegati... per gridare ad una sola voce:
«Stiamo tutti Rom! Schedateci!»